La scultura di un gargoyle ad ali piegate puntava il suo sguardo beffardo nella stanza dal suo nido elevato.
La stanza era una tra le tante nel castello del Conte Lee.
Completamente senza finestre e lontana dall'essere spaziosa.
Aveva un design semplice, ma le sentinelle robot allineate lungo una parete, la sedia su un palco leggermente rialzato, la persona vestita di nero che osservava e l'aria generale di solennità che aleggiava suggerivano che fosse un luogo di giudizio: una sorta di tribunale.
L'imputato era già stato interrogato per i suoi crimini, e come giudice supremo, il Conte Lee alzò le sopracciglia con rabbia.
"Ora pronuncerò la sentenza. Guardami" comandò il Conte.
Parlò con la dignità di un signore feudale, a voce bassa, dal suo posto rialzato, mentre combatteva disperatamente le fiamme della sua ira.
L'imputato non si mosse.
Portato nella stanza in precedenza dalle sentinelle robot, l'imputato rimase steso sul freddo pavimento in pietra.
Tre coppie di occhi vuoti vagavano per la stanza, dal pavimento, per poi ricambiare lo sguardo dei gargoyle vicino al soffitto.
I capelli neri che raggiungevano la fine della coda massiccia dell'imputato facevano sembrare il pavimento un mare di seta nera.
Erano le tre sorelle dell'acquedotto sotterraneo: le Meduse di Midwich.
"Hai dimenticato il debito che mi devi per avervi ospitate per tre lunghi millenni nel mio territori, al sicuro dagli occhi dell'uomo, e nutrite fino a scoppiare.
Non solo avete fallito nello sbarazzarvi del verme che vi ho mandato, ma avete anche favorito la sua fuga.
Questo genere di tradimento non è perdonabile.
E quindi vi condanno qui e ora!".
Le tre teste sembravano totalmente indifferenti agli insulti del Conte mentre fluttuavano nell'aria e i loro occhi sembravano coperti da una membrana biancastra.
Poi, all'improvviso, emisero un profondo sospiro e mormorarono: "Oh, il divino..."
"Uccidetele!"
Prima che il suo grido indignato fosse terminato, un urlo che alcuni potrebbero addirittura definire folle, le sentinelle robot fecero scattare dai loro occhi raggi di calore cremisi, vaporizzando le tre teste.
Senza nemmeno uno sguardo al cadavere ancora fumante che si contorceva sul pavimento, il Conte ordinò bruscamente: "Sbarazzatene".
Poi si voltò bruscamente.
Non aveva notato l'ingresso di Larmica, ma era in piedi accanto al palco.
Vestita con un abito bianco come la neve, la ragazza aveva un'aria di oscurità attorno a lei.
Restituendo lo sguardo fiammeggiante del padre con occhi pieni di glaciale scherno, disse: "Padre, perché eliminarle?".
"Erano traditrici!" sputò il Conte.
"Certo, c'erano circostanze attenuanti.
Il giovanotto ha bevuto il loro sangue e le ha rese schiave, e loro lo hanno condotto di nuovo in superficie.
Vedi, quando mi sono svegliato, i computer mi hanno informato che una delle entrate del mondo sotterraneo era stata aperta di prima mattino.
Il mio primo pensiero è stato tirarle fuori dal loro nascondiglio per interrogarle, e hanno confessato tutto.
Non che sia stato difficile: sembrano aver perso la ragione.
Erano più che felici di rispondere alle mie domande".
"E l'entrata?"
"I robot l'hanno già sigillata."
"Quindi vuoi dirmi che è riuscito a scappare?"
Il Conte distolse lo sguardo dal volto di sua figlia, mentre l'espressione di lei diventa sempre più affascinata.
Il Conte annuì.
"È scappato! Ma il fatto che abbia sconfitto le tre sorelle... non uccidendole, ma mordendole come uno di noi e costringendole a fare la sua volontà...
Ho l'impressione che non sia un dhampir ordinario...".
I dhampir con poco autocontrollo si nutrivano di sangue umano di tanto in tanto, ma non c'era mai stato un caso in cui la loro vittima diventasse la stessa sorta di marionetta che i Nobili facevano delle loro vittime.
Essendo solo mezzo vampiri, i poteri dei dhampir non arrivavano così potenti.
Ancora più strano, questa vittima non era umana, ma un vero mostro tra i mostri.
Gli occhi di Larmica cominciarono a brillare di una luce ineffabile.
"Capisco. Lo hai lasciato scappare... proprio come la ragazza".
Non sorprendentemente, il viso del Conte si contorse d'ira e lanciò uno sguardo furioso a Larmica.
Ovviamente si stava riferendo a Doris.
Larmica lo stava ridicolizzando per come era partito pieno di fiducia per conquistare il suo premio, ma era stato costretto a fuggire dopo un violento scontro.
Ancora più piena dell'orgoglio dei Nobili di suo padre, Larmica si opponeva fermamente all'idea di elevare un essere umano nella sua stirpe, non importa quanto suo padre potesse essere attratto dalla sua preda.
Con finta innocenza, chiese: "Ti intrufolerai di nuovo per vederla? Stanotte farai un'altra visita a quella puzzolente fattoria?"
"No" rispose il Conte, la sua voce di nuovo calma.
"Credo che mi asterrò per un po'.
Ora che il giovane è tornato da lei, potrebbe rivelarsi difficile avere la meglio".
"Quindi hai abbandonato i tuoi piani per la ragazza umana?"
Ora fu il turno del Conte di sorridere.
"Di nuovo, no. Devo fare una visita a qualcun altro.
Prima di farle giustiziare, la più grande delle sorelle ha accennato a degli strani individui".
"Individui? Vuoi dire umani?"
"Sì. Usandoli, farò in modo che il bastardo venga distrutto.
E avrai le mie condoglianze".
Non c'era niente di consolatorio nel suo tono.
A bassa voce Larmica chiese: "Allora avrai la ragazza, comunque vada?"
"Sì. Caratteristiche così squisite, una gola così delicata e pallida, e una vittimacosì combattiva.
Negli ultimi millenni, non ho mai visto una femmina tanto preziosa".
Qui il tono del Conte cambiò.
"Vedere come mi ha resistito l'altra notte, senza cedere di un centimetro, ha solo aumentato il mio ardore.
Diecimila anni fa, ci fu il caso del nostro Sacro Antenato che non riuscì a ottenere la fanciulla umana che tanto desiderava".
Mentre diceva questo, osservò con riverenza, pari a quella di qualsiasi Grande Nobiluomo, l'enorme dipinto sulla parete alle sue spalle.
"Ho sentito dire che la donna che il nostro Sacro Antenato desiderava tanto si chiamava 'Mina, la Bella' e viveva nell'antica Terra dell'Anglia.
Sembra che il nostro Sacro Antenato trovasse il sangue, che scorreva sotto la sua pelle quasi traslucida, più dolce e delizioso di qualsiasi altro.
Anche se aveva già bevuto da migliaia di bellezze".
"A causa di quella donna, il nostro Sacro Antenato fu ridotto in polvere" aggiunse freddamente Larmica, guardando suo padre con uno sguardo supplichevole che non le apparteneva.
"Allora, non riconsidererai la tua decisione in nessuna circostanza, Padre? La fiera famiglia Lee occupa questa regione della Frontiera da cinque lunghi millenni, e nessun umano dovrebbe essere autorizzato a farne parte.
Finora hai prosciugato e lasciato a morire tutte le tue vittime.
Non hai mai suggerito di farne entrare uno in famiglia.
Quindi perché questa ragazza dovrebbe? Sono sicura di non essere l'unica a chiedermelo.
Non ho dubbi che anche la mia defunta madre lo farebbe".
Il Conte sorrise con dolore.
Annuii, e si preparò l'inevitabile.
"Esatto.
Avevo intenzione di parlarne da tempo, ma ho intenzione di prenderla come mia moglie".
Era come se un paletto fosse stato conficcato nel cuore di Larmica.
Nulla, se non questo, avrebbe potuto provocare uno shock simile nella giovane orgogliosa vampira.
Dopo un po', la sua pelle caratteristicamente pallida, divenne bianca come la carta e disse: "Capisco. Hai già pensato a tutto. Smetterò di essere irragionevole.
Fa' come desideri. Tuttavia, credo che partirò per fare un lungo viaggio".
"Un viaggio, dici? Molto bene."
Nonostante la sofferenza nella voce del Conte, si poteva sentire anche un debole sollievo.
Sapeva nel profondo del cuore che la sua amata, ma capricciosa figlia, non sarebbe mai stata in grado di convivere con la ragazza umana.
Non importa quanto quanto cercasse di spingerle a farlo.
"Bene, Padre" disse Larmica, con un'espressione come se il problema fosse magicamente sparito "come intendi distruggere il giovane impertinente e reclamare la ragazza?".
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