La luce del sole invernale scendeva dall'alto del cielo vuoto fino alla valle sottostante. Abbastanza luminosa da strapparti un sorriso e abbastanza fredda da svuotarti i polmoni in una nuvola bianca di tosse. Pure i raggi che calavano sul sentiero stretto, più o meno dritto, erano piuttosto rinfrescanti. Forse perché la primavera non era così lontana.
Non lontano da lì, la strada che attraversava la valle arrivava a una piccola pianura, circondata da boschi neri, e guidava i viaggiatori in un piccolo villaggio di Frontiera.
Contando anche i ranch e le fattorie a energia solare, c'erano probabilmente ancora meno di duecento case. I tetti delle case di legno e plastica erano spolverati di bianco, resti di neve, così come i vicoli che non vedevano mai la luce del giorno.
Le persone nel villaggio, avvolte in pellicce così pesanti da poter essere scambiate per bestie, avevano espressioni severe. Anche le espressioni i più piccoli erano dure, la concentrazione per restare in vita aveva dipinto una maschera dura anche sui loro volti.
Un ruscello attraversava la città, da est a ovest. La superficie delle sue acque limpide rifletteva un robusto ponte e, in questo momento, una silenziosa processione di persone attraversava il ponte con un passo grave.
Dieci uomini e due donne. Singhiozzi sgorgavano dalle labbra di una donna, mentre si nascondeva il volto con la manica consumata del cappotto imbottito. I capelli grigi le arrivavano alle spalle. L'altra donna, anch'essa intorno ai quarant'anni, stava al suo fianco, cingendola con un braccio per darle sostegno. Senza dubbio erano vicine di casa. Nonostante la disperazione delle due donne, il loro dolore non aveva ancora suscitato simpatia negli uomini che le accompagnavano.
Il vecchio al comando della processione indossava una tunica pesantemente adornata con formule magiche e strani simboli, e il suo volto era segnato dal terrore. Gli altri uomini avevano espressioni quasi identiche; sei di loro erano anche chiaramente provati fisicamente dal peso abominevole che premeva sulle loro spalle.
Stavano trasportando una bara di quercia.
Tuttavia, la cosa più inquietante era la pesante catena avvolta intorno alla bara. Sembrava messa lì per impedire a ciò che riposava all'interno della bara di uscirne, e il modo in cui la catena ondeggiava nella luce invernale riaccendeva la paura disperata di coloro che la trasportavano.
La processione si fermò al centro del ponte. Lì la struttura sporgeva un metro in più da entrambi i lati, formando un piccolo luogo di raduno sopra il fiume.
Il vecchio che li guidava indicò un lato.
Con scalpiccio di piedi, gli uomini che portavano la bara si affrettarono verso la balaustra.
Con un brivido, l'uomo robusto al fianco del vecchio portò le mani alle armi che pendevano dalla sua vita - paletti d'acciaio lunghi almeno mezzo metro. L'uomo ne aveva almeno una mezza dozzina nella sacca attaccata alla cintura. L'altra mano tirò fuori il martello, che teneva sul lato opposto della cintura. Il vecchio revolver che aveva alla fondina nemmeno meritava uno sguardo.
Con un urlo angosciato, una delle donne si precipitò verso la bara, ma la sua vicina e il resto degli uomini riuscirono a trattenerla.
"Calmati," gridò il vecchio rimproverandola.
La donna nascose il viso tra le mani. Se non fosse stato per quelli che la sostenevano, sarebbe sicuramente crollata a terra.
Gettando uno sguardo senza emozioni alla bara, il vecchio alzò la mano destra e cominciò a recitare le parole della cerimonia.
"Siamo qui oggi, col cuore immerso in un abisso di dolore indescrivibile. Gina Bolan, amata figlia di Seka Bolan e residente n°8009 del villaggio di Tepes, Settore Sette della Frontiera Occidentale, è caduta vittima della Nobiltà e si è spenta la scorsa notte...".
I volti dei portatori della bara divennero visibilmente più pallidi, ma il vecchio sembrò non notarlo.
Sei paia di occhi si spostarono inquieti e imploranti alla calma superficie del fiume.
Non c'era nulla da vedere lì. Nulla di straordinario.
Dentro la bara, qualcosa si mosse. Non qualcuno. Qualcosa.
I volti degli uomini si avvicinarono alla bara, come se fossero attirati per magia.
Le catene tintinnavano.
I volti degli uomini diventarono bianchi come un lenzuolo.
Il vecchio gridò il nome dell'uomo coi paletti.
"Giù! Mettetela giù ora!" gridò l'uomo, con voce compressa dal terrore, mentre si avvicinava. Gli altri non obbedirono al suo comando.
Cervelli, nervi e persino muscoli si irrigidirono mentre la paura si riversava nei loro corpi. Non era affatto la prima cerimonia del genere a cui avevano partecipato. Tuttavia, il fenomeno che stava ora avvenendo in quella scatola sulle loro spalle era palesemente follia. Per amor del cielo, era di giorno!
Vedendo le condizioni degli altri, l'uomo con martello e paletti fece sbattere le armi insieme, gridando in modo conciso: "Posatela sulla balaustra!". Era chiaro cosa volesse fare.
Qualsiasi incantesimo imprigionasse gli uomini si indebolì, e la bara fu posata sul robusto corrimano, a un passo dal cadere di sotto. Tre degli uomini la tenevano da un lato.
Era un’atipica frenesia per quel bel giorno invernale.
L'uomo armato si precipitò e mise la punta affilata del paletto contro il coperchio della bara.
Il suo viso duro come granito era solcato dalla paura e dall'impazienza. Secondo la sua vasta esperienza personale quella scena era tutta sbagliata, e minava la fiducia che aveva guadagnato in anni di lavoro.
Continuavano a provenire suoni dalla bara. Dal modo in cui si agitava e dai suoni che emetteva, sembrava che qualunque cosa contenesse si fosse risvegliata e si stesse agitando senza alcuna idea della sua situazione attuale.
L'uomo alzò alto il martello.
Improvvisamente, i suoni provenienti dalla bara cambiarono. Colpi potenti colpirono il coperchio dall'interno, scuotendo non solo la bara ma anche gli uomini che la tenevano.
Il vecchio gridò qualcosa.
Con un gemito, il martello squarciò l'aria. Grida e rumori si fusero in uno.
Il paletto trafisse la bara quasi nello stesso istante in cui una pallida mano sfondò i pesanti assi e si agitò nell'aria. La mano di un bambino!
Agitandosi selvaggiamente, la mano afferrò l'aria ancora e ancora. Volò alla gola dell'uomo che stava lì, ancora con il martello in mano, completamente sbigottito.
". . . La bara . . . lascia cadere . . . la dannata bara!"
Il sangue sgorgò dalla gola dell'uomo insieme a quelle parole.
Lo spettacolo orribile fece più delle sue disposizioni per risvegliare la coscienza degli uomini: inclinarono la bara oltre il corrimano. Cadde di sotto, con ancora l’uomo inchiodato al coperchio, sollevando uno schizzo quando si infranse sulla superficie del fiume.
Sicuramente la bara doveva essere pesante, perché affondò rapidamente e si fuse con il fondo grigio cenere. Tra le onde un liquido cremisi ribolliva, ma nel mondo di superficie restava solo la tranquilla luce del sole invernale. Solo i singhiozzi di una donna rimasero a testimoniare la spaventosa tragedia appena accaduta.
***
Le lame d'erba, che da tempo sopportavano il peso della neve, approfittarono delle vibrazioni dei pesanti passi per liberarsi del loro fardello. Dopotutto, il loro giorno presto giunto.
I passi provenivano da diverse persone, ognuna di esse dura come un masso e muscolosa come un toro marziano. Anche attraverso i pesanti cappotti di pelliccia i muscoli ben sviluppati si mostravano evidenti. Erano tutti sulla loro ventina. Nemmeno il loro leader, un uomo un po' più alto degli altri, aveva ancora compiuto trent'anni. Appartenevano alla Brigata Giovanile del villaggio.
Il motivo per cui respiravano così pesantemente era perché stavano scalando la collina da quasi nove ore. Dalle loro espressioni era chiaro che non fossero lì per una scampagnata.
Volti induriti e mascelle contratte dalla frustrazione e dalla rabbia, sembravano sull'orlo delle lacrime. A giudicare dalla situazione, cercavano invano di trattenere il terrore che ribolliva dentro di loro. La coppia che chiudeva la marcia era particolarmente affannata, anche perché trascinavano delle casse, legata alla schiena, piene di armi.
Inoltre, la collina aveva una forma leggermente ondulata, era una strana caratteristica geografica.
La collina aveva il diametro di circa due chilometri ed era alta quasi una ventina di metri, sembrava in tutto e per tutto una normale collina. Tuttavia, coloro che ci mettevano piede, si accorgevano che ci volevano diverse ore per raggiungere la cima, indipendentemente da quanto fossero bravi a camminare.
Sulla cima sorgevano rovine nere.
Era lì che gli uomini si stavano dirigendo. Tuttavia, il loro obbiettivo non era molto diverso dai miraggi che si dice accadessero nelle regioni desertiche della Frontiera: scherniva gli uomini mentre cercavano di raggiungerlo, e avrebbe fatto altrettanto con chiunque altro accettasse la sfida.
La distanza non diminuiva mai.
I loro piedi chiaramente calpestavano la collina, e i loro sensi dicevano che stavano guadagnando costantemente quota. Eppure, le rovine che cercavano di raggiungere non si avvicinavano mai.
Tenendo conto dei rapporti di tutti coloro che avevano sperimentato questo fenomeno, si stimava che un uomo in condizioni ottimali impiegasse trenta minuti per salire un metro. Dieci ore per raggiungere la cima. Anche su un terreno pianeggiante, tanto camminare avrebbe lasciato un uomo esausto. Salendo la collina, la situazione peggiorava, poiché la pendenza diventava più ripida e il viaggio diventava sempre più faticoso. Non sorprende quindi che nessuno avesse tentato di scalare la collina negli ultimi tre anni.
L'uomo al comando del gruppo, Haig, non prestò attenzione ai suoi compagni mentre scrutava l'orizzonte occidentale. Il sole sarebbe tramontato tra due ore, cadendo dietro alla foresta e alla catena argentata di picchi lontani. Erno approssimativamente le tre del pomeriggio, ora standard della Frontiera.
Se non raggiungevano la cima, facevano ciò che dovevano, e se ne andavano nei centoventi minuti rimanenti, Haig sapeva, così come chiunque altro, quale sarebbe stato il loro destino al calare dell'oscurità.
Per rendere le cose peggiori, una volta giunti alla cima, non avevano la minima idea di dove dormisse il loro obbiettivo. Anche se una mappa approssimativa era nella tasca della sua giacca, era stata disegnata decenni prima da qualcuno che nel frattempo era morto, quindi non erano del tutto sicuri se potessero fare affidamento su di essa.
C'era poi da considerare quanto fossero esausti. Anche se il gruppo era composto dai più orgogliosi e forti della Brigata Giovanile, la salita era in realtà più affaticante mentalmente che fisicamente. Il fatto che nulla sembrasse avvicinarli al loro obiettivo li aveva devastati in tutti i sensi.
Questa prova psicologica era una difesa particolarmente efficace contro gli intrusi provenienti dalla valle. Una volta messo piede nelle rovine, non era certo che i membri della Brigata Giovanile avrebbero avuto la forza sufficiente per fare ciò per cui erano venuti.
L'unica cosa che avevano a loro favore era il fatto che, sulla via del ritorno, la collina sembrava perdere il suo dominio mistico su chi la affrontava. Correndo avrebbero raggiunto la base in meno di due minuti.
Improvvise le fattezze di Haig, bagnate dal sudore, furono pervase dalla gioia.
Sapeva che la distanza tra la cima e lui era "reale" ora. Mancavano meno di dieci metri. Ignorando i suoi polmoni affamati d'aria, gridò: "Siamo arrivati!". Da dietro si sentirono dei grugniti soddisfatti.
Qualche minuto dopo, tutto il gruppo stava riposando nel cortile delle rovine. L'ombra della stanchezza pesava pesantemente su ogni volto, rendendoli quasi ridicoli.
"È ora di mettersi all'opera. Prendete le armi," ordinò Haig.
Solo lui rimase in piedi, scrutando i dintorni.
Il gruppo si raggruppò attorno alle due casse di legno e tolsero i coperchi.
All'interno c'erano cinque martelli, dieci paletti di legno affilati, e venti Molotov realizzate con bottiglie di vino riempite di carburante per trattori e tappate con stracci. Inoltre, avevano cinque pacchetti di potenti esplosivi per miniere, ognuno munito di timer individuale. Gli uomini avevano anche un coltello Bowie, o una spada o un machete infilato nella cintura.
"Sapete tutti qual è il piano, vero?" disse Haig, solo per essere sicuro. "Non so quanto possiamo fare molto affidamento su questa copia della mappa, ma non abbiamo altre opzioni. Se pensate di avere problemi, fate un fischio. Se scoprite dov'è, fate due".
Con gli occhi iniettati di sangue gli uomini annuirono mentre si alzavano in piedi. Era giunta l’ora.
Una voce del tutto inaspettata li fermò.
"Un attimo. Dove state andando così carichi?".
Da un’arcata ombrosa nell'unica parete rimasta delle rovine di pietra, un'apertura cavernosa che si affacciava sul cortile, una ragazza solitaria si mosse con disinvoltura nella luce del pomeriggio. I capelli corvini le scendevano sulle spalle del cappotto invernale, e ciò che si vedeva delle sue cosce sembrava freddo e invitante allo stesso tempo.
"Guarda, se non è Lina! Cosa ti porta quassù—," uno degli uomini cominciò a chiedere, trattenendo il resto della domanda. Gli occhi di tutti assunsero una sfumatura di terrore, oltre all’espressione di qualcuno i cui sospetti si sono rivelati corretti. Conoscevano la risposta a quella domanda da parecchio tempo.
"Ma che cavolo credete di fare? Meglio che non facciate nulla di stupido," disse la ragazza, guardando dritto negli occhi Haig. Il suo viso era ancora così giovane e innocente che non poteva sembrare severo per quanto ci provasse. Il suo volto splendeva con la saggezza e il fascino tipico delle donne. Era in quella fase imbarazzante: un piccolo bocciolo in attesa della primavera, a un battito di distanza dallo schiudersi in un fiore glorioso.
"Perché non ci dici tu cosa diavolo ti porta quassù?" chiese Haig, le parole scivolando fuori come melassa. Il suo sguardo era caduto sui piedi nudi di Lina. "Non è che sai più di quanto tu non dica? L'intero villaggio è stato messo a soqquadro, e ancora non l'abbiamo trovato. Significa che questo è l'unico posto in cui possa nascondersi, non credi?".
"Questo non significa che puoi trasportare un carico di bombe fin qui, no? Paletti e Molotov bastano e avanzano".
"Non è affar tuo," disse Haig con disprezzo. "Ora rispondi. Perché diavolo sei qui? Di sicuro non ti abbiamo vista mentre salivamo. Da quanto tempo sei qui?"
"Sono appena arrivata. E per tua informazione, sono salita dall'altro lato. Quindi ovvio non mi avete vista".
Mentre gli uomini si guardavano l'un l'altro, avevano uno strano luccichio negli occhi.
"In tal caso, immagino che la collina non ti tiri brutti scherzi. A quanto pare, avevamo ragione fin dall'inizio. A meno che non mi sbagli, sei tu la responsabile di ciò che sta succedendo in città".
"Risparmiami le tue congetture. Sai che ero in casa ogni volta che è successo".
"Non parlare. Cristo, tutto il vostro gruppo è strano da quando è successo. Non sappiamo che razza di poteri avete usato di nascosto!".
Haig improvvisamente non aveva più niente da dire. Fece un cenno con il mento ai suoi compagni. Tutti sorrisero lussuriosamente mentre cominciavano a stringersi attorno a Lina.
"Dobbiamo fare un controllo. Adesso dovremmo spogliarti per essere sicuri".
"Interrompi subito questa follia! Sai in quale guaio ti caccerai se solo ci provi?".
"Ah! Questa dovrebbe essere una minaccia?" schernì uno di loro. "Tutta la città sa benissimo cosa sta succedendo tra te e il sindaco. Se possiamo dimostrare che sei solo una donna normale, il vecchio sarà più felice di un maiale nella melma".
"E questo non è neanche la metà," aggiunse un altro. "Dopo che ognuno di noi ti avrà dato una ripassata, ti sentirai così bene ti passerà la voglia di tradirci".
Haig si leccò le labbra. Si sapeva che gli uomini con lui erano dei tosti, proprio per questo erano perfetti per proteggere il villaggio da brutali gruppi di banditi o bestie feroci. Ma ora, la stanchezza e la paura per il lavoro che dovevano fare si mescolavano in un miscuglio viscido che soffocava quel poco buon senso con cui erano nati.
Lina non fece alcun tentativo di fuggire. Haig la afferrò per le braccia e la tirò a sé. Le sue labbra unte si attaccarono ferocemente alla sua bocca fine. Le tirò il cappotto su con una mano e le palpeggiò la coscia, mentre la sua lingua cercava di forzare un passaggio tra i suoi denti perfetti.
All'improvviso, ci fu uno schiocco sordo e il suo massiccio corpo si piegò in due. Con la velocità di un fulmine, Lina aveva tirato una ginocchiata ai genitali di Haig, lasciandolo senza parole e in ginocchio. Non gli rivolse neanche uno sguardo mentre scompariva in un'entrata delle rovine.
"Piccola bastarda!" urlò uno dei tre uomini che la seguirono. Poiché era ancora giorno, la rabbia e la lussuria spinsero via la paura che i teppisti avevano per le rovine.
Strane macchine e mobili sembravano fluttuare nell'oscurità gelida, ma loro li ignorarono mentre correvano. Dopo aver girato e rigirato lungo corridoi decorati da sculture e dipinti, alla fine raggiunsero Lina in una vasta stanza, una specie di sala.
Quando la afferrarono per le spalle, strappandole il cappotto, inciampò e cadde a faccia in giù, ma loro la agguantarono e la girarono sulla schiena.
Lina gridò: "Fermi!".
"Smettila di agitarti. Vedrai come ti faremo godere, tutti e tre insieme!".
Gli uomini immobilizzarono le sue mani pallide, mentre si dimenava disperatamente, e si avvicinavano alle sue dolci labbra...
In quel momento, furono colpiti dalla sensazione più spaventosa. Persino Lina smise di muoversi per il terrore. Quattro coppie di occhi si concentrarono contemporaneamente sullo stesso punto nell'oscurità.
Dagli abissi insondabili emerse una singola figura nera. Una figura che sembrava più scura della nera oscurità che l’avvolgeva.
"Qui ha avuto fine una civiltà", disse una voce morbida. Le parole si diffusero attraverso l'oscurità. "Anche se è impossibile fermare il progresso del tempo, fareste bene a mostrare un po' di rispetto per ciò che è andato perso".
Lina si alzò di scatto e si nascose dietro la figura, ma gli uomini non mossero nemmeno un muscolo. Non potevano neanche parlare. Gli istinti animali, affinati da oltre due decenni di battaglia con le forze della natura, suggerivano loro di non muovere un muscolo. La figura oscura era qualcosa che superava di gran lunga ciò che si aspettavano di trovare lì.
Dei passi risuonarono all'ingresso della sala, ma presto si fermarono. Haig e il resto degli uomini stavano irrompendo nella stanza con furia, quando si fermarono di colpo.
"Ch-chi diavolo sei tu?".
Non sorprendentemente, fu il leader del gruppo suicida che finalmente riuscì a parlare, ma appena. La sua voce tremolante e il rumore dei denti che cozzavano tra loro la dicevano lunga sull’effetto che quell’aura spaventosa aveva su di lui. In quel momento, nelle menti di tutti c’era solo un unico impellente pensiero: scendere giù dalla collina il più rapidamente possibile.
"Vattene. Questo non è un posto per voi".
Su ordine dello straniero, gli uomini si alzarono e cominciarono a fare retromarcia. Il motivo per cui si mossero rivolti in avanti non era tanto dovuto al vecchio detto, che dice di non far vedere mai la schiena al nemico, quanto alla loro paura di non sapere cosa potesse accadere se si fossero azzardarti a voltarsi.
“Ci sono cose peggiori della morte a questo mondo” pensarono.
Una volta ritiratisi all'ingresso della sala, gli uomini recuperarono un po' di spirito. Il tetto del corridoio senza finestre era solcato da crepe che lasciavano entrare la luce solare.
Haig tirò fuori una Molotov e un altro i fiammiferi. Accese il fiammifero sui pantaloni, e portò la fiamma ai pezzi di stoffa. Haig lanciò la bomba incendiaria con un tiro così esagerato da sembrare che stesse cercando di scacciare via le sue paure. Non pensarono nemmeno un attimo alla sicurezza di Lina.
La bottiglia infuocata delineò un arco regolare attraverso la stanza e atterrò ai piedi della coppia. Ma non si diffuse nessun lago di fiamme. La bottiglia rimase sul pavimento dal mosaico intricato. Ci fu giusto un tintinnio quando il collo della bottiglia, e lo straccio infuocato che conteneva, toccarono terra separate dal resto.
Gli uomini probabilmente nemmeno videro il lampo argenteo che aveva squarciato l'aria. Scattò il panico.
In un coro di urla, gli uomini si affannarono l'uno sull'altro nel tentativo di fuggire lungo il corridoio. E non guardarono indietro. La paura del soprannaturale li aveva torturati fino a quel punto, e quella paura minacciava ora di prendere forma. Gli uomini corsero via con tutta la forza della loro disperazione.
Una volta sicura che i passi fossero svaniti, Lina si allontanò dallo straniero. Si volto verso il corridoio da cui era scappati e fece una linguaccia e il gesto più scortese che conoscesse. Doveva essere incredibilmente tranquilla di natura, perché non sembrava minimamente turbata mentre faceva scorrere lo sguardo dalla bottiglia, al collo troncato con la fiamma che crepitava, fino l'uomo muscoloso, che guardò con ammirazione.
"Sei davvero incredibile, tu..." cominciò a dire, ma la voce le mancò.
I suoi occhi si erano abituati all'oscurità e finalmente poteva vedere il volto del suo salvatore. Un volto squisito, come una silenziosa notte invernale conservata per sempre nella resina.
"Cosa c'è?".
Scossa dal suono della sua voce, Lina disse la prima cosa che le venne in mente. Era una ragazza piuttosto diretta.
"Sei davvero affascinante. Mi hai tolto il respiro".
"È meglio che tu vada a casa. Questo non è posto per te", le disse, le parole non erano fredde quanto prive di emozioni.
Lina era tornata in sé, e scrutava spudoratamente l'uomo da capo a piedi.
Non sembrava avere più di vent'anni. Indossava un cappello da viaggio a falda larga, la lunga spada che portava sulla schiena e il soprabito nero facevano capire che non era un turista. Un pendente blu dondolava sul suo petto. La sua tonalità profonda e avvolgente sembrava adattarsi perfettamente al giovane.
"Col Cavolo! Faccio quello che mi pare!" voleva dire Lina, ma le parole che pronunciò in fretta furono l'esatto opposto di ciò che provava realmente.
"Se insisti, almeno potresti accompagnarmi fino all'uscita".
A questa richiesta inaspettata, il giovane si diresse verso l'uscita senza fare alcun rumore.
"Ehi, aspetta un attimo, tu. Come siamo di fretta!", sconvolta, Lina si affrettò dietro di lui. Pensò di aggrapparsi all'orlo del suo cappotto o forse al suo braccio, ma non lo fece davvero. Questo giovane aveva un'intensità che lo isolava completamente dal resto del mondo.
Seguendolo silenziosamente, la ragazza tornò nel cortile.
Sorprendentemente, il giovane si voltò rapidamente e tornò verso l'ingresso e lei si alzò di nuovo.
"Per l'amor del cielo, potresti aspettare un minuto? Non mi hai nemmeno dato la possibilità di dirti grazie, stupido!".
"Torna a casa prima che tramonti il sole. La via per scendere sembra essere normale".
La figura oscura non si voltò per guardarla mentre parlava, ma le sue parole fecero spalancare gli occhi di Lina.
"E come fai a saperlo? A proposito, quando sei arrivato qui? Non sei salito come tutti, vero?".
Appena prima dell'ingresso, il giovane si fermò. Senza voltarsi verso di lei, disse: "Quindi, tu puoi salire la collina normalmente?".
"Sì. Le mie circostanze sono un po' particolari", disse Lina, sembrando stranamente risoluta per una volta. "Vuoi sentirne la storia? Certo che vuoi. Dopotutto, sei venuto fin qui per vedere queste rovine, i resti di un castello di un Nobiluomo".
Il giovane iniziò a inoltrarsi nelle rovine di nuovo.
"Oh, maledizione," gridò Lina, sbattendo i piedi per la rabbia. "Almeno dimmi il tuo nome. Se non lo fai, non tornerò a casa! Al tramonto o meno! Se vengo attaccata e mutilata dai mostri, sarà sulla tua coscienza per il resto dei tuoi giorni. Comunque, sono Lina Sween".
Apparentemente le sue lamentale ebbero successo, poiché una voce bassa giunse dalla silhouette mentre si fondeva con l'oscurità dell'ingresso. Pronunciò solo una lettera: "D".
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