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Vampire Hunter D Volume 1 Capitolo 8C

Immagine del redattore: Makine-kunMakine-kun

Aggiornamento: 27 dic 2023

La fioca luce lunare, che penetrava a malapena tra gli alberi intrecciati, gli mostrò ciò che stava succedendo.

Una pallida mano cadaverica si protendeva dal suolo, con le cinque dita che si muovevano in modo disgustoso.

Ma non erano dita, ma piuttosto cinque fiori.

Dan era trattenuto a terra da un pallido fiore che sembrava proprio la mano di cadavere.


Tra gli orrori botanici seminati dalla Nobiltà, queste piante erano piuttosto bizzarre, ma innocue.

Il fatto che Dan sapesse dove crescevano e si fosse comunque ritrovato nel bel mezzo di questa macchia di fiori, la diceva lunga su come il terrore alle sue spalle avesse cancellato tutto il resto dalla sua mente.

Ma chi avrebbe potuto biasimare un bambino di otto anni per questo?


Con tutta la sua forza, Dan si rialzò di nuovo.

La mano del defunto pendeva dal suo polso, radici incluse.

Proprio mentre stava per riprendere a correre, un terrificante ululato giunse dalle sue spalle, inchiodandolo sul posto.


Vedendo l'uscita così vicina, Garou aveva deciso che era arrivato il momento di porre fine alla caccia.

Aveva inseguito Dan perché il Conte gli aveva permesso di cibarsi di una persona viva per la prima volta in moltissimo tempo.


Tutta la forza abbandonò il ragazzo.

“Mi dispiace, Sorella. Sembra che non riuscirò a salvarti”.

Lacrime di rimpianto gli rigavano le guance.

E poi, l'ululato si interruppe bruscamente.

Al suo posto, Dan percepì un tremito.


Dan udì l'eco di zoccoli oltre l'uscita, lontani ma che si avvicinavano con foga.

Non sentì una voce, e non poteva vederne la figura, ma Dan seppe immediatamente chi fosse.

"D!" il suo grido speranzoso squarciò l'oscurità.

Ancora una volta un ululato risuonò alle sue spalle, e un turbine nero corse al suo fianco.


"D, fai attenzione!".

Corse alcuni passi, spingendo via i fiori tenaci che lo cingevano.

Un ruggito incredibilmente bestiale si alzò oltre l'uscita e fu improvvisamente silenziato.

Dan uscì precipitosamente dalla foresta, vedendo un cavaliere su una collinetta apoco vanti, immerso nella luce della luna.

Ai suoi piedi giaceva il lupo mannaro.

D galoppò verso il ragazzo e scendendo da un cavallo chiese: "Cosa ci fai qui? E dov'è tua sorella?".


Dan fu sopraffatto dall'emozione.

"Sapevo che eri ancora vivo, D.

Sapevo che non avresti mai potuto morire così...".

Non riuscì a dire altro sul momento.

Quando Dan si fu calmato e spiegò la situazione, D lo prese senza dire una parola e lo mise a cavallo.

Non disse al ragazzo di tornare a casa, né gli offrì di riportarlo alla fattoria.


Guardando la prateria in direzione del castello del Conte con uno sguardo deciso, D chiese: "Vieni con me?".

Era la stessa domanda che aveva fatto al ragazzo nelle rovine la sera prima.

"Certo!".

Non c'era motivo di aspettarsi una risposta diversa dal ragazzo.


C'era una particolare caratteristica dei castelli della Nobiltà che si adattava ai loro signori vampiri.

C'erano splendide camere da letto pronte per gli ospiti e altri visitatori, ma non ce n'erano per il signore e la sua famiglia.

Essi dormivano in un luogo più adatto al loro rango, un luogo elevato a materia di leggenda: i vampiri dormivano in bare sotterranee.


In vaste stanze sotterranee piene di minuscoli organismi, dove l'odore di umidità si mescolava al dolce profumo di terra antica, qui il vero passato dominava, libero dai controlli dei computer.

L'odore di torce poco usate si levava nell'aria di questo luogo speciale.

Una parete di pietra alta forse trenta piedi era coperta da un colossale ritratto del Sacro Antenato.

Sul palco cremisi davanti ad esso c'erano il Conte, in abiti neri, e Doris, vestita con un abito bianco candido.

Gli occhi della ragazza erano privi di vita.

Era ipnotizzata.


A sinistra dell'altare c'era Larmica, ma i suoi occhi sembravano altrettanto sbigottiti mentre vagavano nello spazio, evitando suo padre e la sua futura sposa.

Il suo stato aveva poco a che fare con il rimprovero di suo padre, per aver cercato di aiutare Doris a scappare, e molto più con qualcosa che il cuore della bella vampira aveva perso.

Le oscure nozze stavano per cominciare.


"Guarda. Quello sarà il tuo letto da questa notte in poi".

Il Conte indicò un paio di sarcofagi, laccati di nero, posizionati su una lastra di pietra di fronte all'altare.

Sotto lo stemma del falcone tra le fiamme, il sarcofago di destra aveva una placca con il nome "Lee", mentre l'altro era già inciso con "Doris".

"Contengono terra.

La stessa orgogliosa terra su cui è costruito il castello della famiglia Lee.

Sono certo che ti regalerà sogni di dolce sangue ogni notte.

Dunque, iniziamo".


Il Conte prese il mento di Doris tra le mani e le inclinò la testa all'indietro, esponendo la sua pallida gola.

"Come prima cosa liberiamoci di questo orribile marchio".

Il conte estrasse un sigillo dalle vesti, con inciso lo stesso stemma presente sulle bare.

"Prima il destro."

Dal suo pallido collo si levò del fumo bianco mentre premeva il sigillo sulla carne, e Doris tremò.

Eseguendo la stessa azione di nuovo, solo un po' più in basso, il Conte disse: "e ora il sinistro".


Una volta finito, avvicinò la sua ripugnante bocca alla gola della sua sposa.

Sebbene ancora aleggiasse nell'aria del fumo bianco, ora non c'era alcun segno sulla sua gola della vergine, a parte la coppia di segni del morso che il Conte aveva lasciato la prima volta che si era cibato di lei.

L'alito che puzzava di sangue le avvolse la gola.

Il segno della croce che aveva tenuto al sicuro la ragazza non riapparve.


"Molto bene. Non ho più nulla da temere per quando le darò il mio bacio".

Sorridendo largamente mentre rimetteva il sigillo nella mantellina, il Conte si rivolse a sua amata figlia, ancora in uno stato di torpore al suo fianco, e disse: "Avrai una nuova madre. Non vuoi recitare qualche parola di congratulazioni per noi?".


Il suo sguardo vuoto si concentrò sul padre.

La bocca di Larmica si mosse lentamente.

"Io..." iniziò.

"Io, Larmica Lee, di tremilasettecentoventisette anni, mi congratulo con mio padre, Magnus Lee, di tremilasettecentocinquantasette anni e mia madre, Doris Lang, di diciassette anni in occasione del loro matrimonio".

La sua voce era priva di emozioni, ma il Conte annuì tendendo l'orecchio.


Quello che inizialmente sembrava essere la voce di Larmica che rimbalzava sul pavimento e sul soffitto diventò un canto unificato che riecheggiava nell'oscura camera sotterranea, come i lamenti dei morti che contorcentisi risorgono dalla tomba.


"Diamo al Conte Magnus Lee le nostre più sincere congratulazioni per questa nuova unione".

Le voci provenivano dagli occupanti di innumerevoli sarcofagi conficcati nelle pareti e sotto il pavimento.

Alcuni di essi si scossero e tintinnarono un po', facendo restringere lo sguardo al Conte.


"Ora è il momento...".

Mentre stava portando le labbra alla gola di Doris, il trasmettitore nella tasca della sua giacca emise una sirena.

"Oh, dannata macchina" disse il Conte irritato, tirandola fuori.

"Cos'è questa volta?".


La voce metallica del computer rispose: "Una coppia di umani e un cavallo è appena arrivata al cancello principale.

Uno degli umani è un maschio, di circa otto anni, l'altro è un maschio di età compresa tra i diciassette e i diciotto anni".

"Cosa?" gli occhi del Conte brillarono di luce rossa sangue.

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